L’halva, scritto e pronunciato in
vari modi, alva, halwa, helwa, è un dolce tipico della cultura araba, ebraica e
mussulmana, diffuso in numerose varianti dal nord Africa fino al subcontinente
indiano, passando anche attraverso alcuni stati dell’est europeo.
A questo va aggiunta la diffusione nelle
americhe, del nord grazie alla folta presenza di indiani ed ebrei, del sud, in
particolar modo Argentina e Brasile, per la storica ed abbondante comunità di
immigrati siro-libanesi.
Oltre a quello culturale, un altro
importante motivo del globale successo dell’halva è la semplicità degli
ingredienti e delle preparazioni, tra le quali due sono quelle più facilmente
distinguibili: una a base di farina, in genere semola, ed una a base di burro
di noci, come ad esempio il comune burro di arachidi.
In India è tipica la specialità a base
di semola, alla quale si fa riferimento in questo articolo.
La preparazione più semplice, e quindi
più popolare, prevede l’utilizzo di pochi comunissimi ingredienti: semola, ghee
(burro chiarificato), zucchero, acqua, scaglie di mandorle e uvetta.
Fatto sciogliere lo zucchero nell’acqua,
si frigge-abbrustolisce la semola nel ghee per una decina di minuti, finché
assume una decisa colorazione marroncina, si aggiunge a poco a poco l’acqua zuccherata,
facendo sbollicchiare per un’altra decina di minuti ed una volta raffreddato
leggermente, l’halva è pronto per essere guarnito con mandorle ed uvetta, e
servito.
La consistenza può variare ma di solito
ricorda quella della polenta, chiaramente più leggera.
Il sapore, nella sua semplicità, è
piuttosto gradevole, grazie al piacevole aroma del semolino abbrustolito ed
addolcito dall’abbondante presenza di zucchero e uvetta.
In alcune ricette viene anche aggiunto un
poco di sale, che, contrastando lo zucchero, tende ad aumentare la sensazione di
dolcezza (permettendo quindi di usare meno zucchero).
Questa semplice preparazione rende il suji
ka halva, l’halva di semola, un dolce molto pratico da preparare sia a
livello domestico, ad esempio per offrire qualcosa di veloce e gradito ad un
ospite inatteso, ma anche per cerimonie religiose, grazie alla purezza degli
ingredienti apprezzati da tutte le divinità, e viene spesso offerto nei templi
come prasad, appunto offerta, che viene presentata alla divinità, da
Essa santificata e quindi consumata dai fedeli.
Tra le numerose varianti, molto diffusa
è l’halva a base di differenti farine, già ampiamente utilizzate in tutta la
cucina del subcontinente, quali ad esempio farina di ceci e di lenticchie.
Queste tipologie hanno gusti e
consistenza decisamente diverse dall’halva di semola, e tendono ad assomigliare
ad altri dolci tipici, a causa della presenza di khoa (di cui vedremo poco
più avanti), infatti vengono confezionate in molti negozi con forme classiche
da “pasticcino” indiano, rotonde, quadrate, a rombo, etc.
Un’altra variante estremamente comune ed
interessante è il gajar ka halva, a base di carote (gajar), che
vengono tagliate finemente per farne una sorta di pasta.
In questo caso, come il suji ka halva, la
consistenza più friabile e leggera di quello a base di farina di ceci o di
lentcchie, non permette di confezionarne pasticcini, ma viene consumato in
ciotole con il cucchiaio o con le mani, strappandone dei piccoli bocconi.
Nelle preparazioni a base di altre
farine e di carote (ma esistono anche varianti con zucche e tuberi), per
addolcire maggiormente questi ingredienti di per sé poco dolci, viene
utilizzata la khoa, un prodotto tipico della cucina indo-pakistana, che
consiste in una pasta giallina friabile preparata facendo seccare il latte in
grandi karahi, le tipiche pentole indiane simili alle più note wok.
Per i palati poco avvezzi a questa concentrata
preparazione latticina, la khoa risulta essere piuttosto pesante e, se di non ottima
qualità, tende a produrre un aroma ed un gusto simili al formaggio, decisamente
poco adatto da abbinare ai dolci.
Certo con un uso appropriato di buona khoa
in una ricetta casalinga, il gajar ki halva è sicuramente molto gustoso, ma
l’abbondante utilizzo di khoa di scarsa qualità nelle poco accurate ricette dei
negozi di dolci, lo rendono poco appetibile e molto indigesto.
Dando un’occhiata alle ricette proposte
su internet, ma soprattutto dopo aver raccolto le semplici istruzioni dalla nostra
professoressa privata di hindi, fonte inesauribile di notizie d’ogni sorta
sull’India, abbiamo avuto modo di fare alcuni esperimenti che ben presto, già
al terzo tentativo, ci hanno permesso di produrre qualcosa di non proprio delizioso
ma ampiamente commestibile.
Di solito le ricette indiane hanno il
problema della non facile reperibilità degli ingredienti al di fuori
dell’India, seppur per l’halva questo riguarda un’unico ingrediente, cioè il
ghee, burro chiarificato, in India indispensabile per numerose ricette e quindi
presente in ogni cucina un minimo organizzata, mentre in Italia è poco comune e
piuttosto costoso.
La sostituzione del burro chiarificato
con burro normale potrebbe comunque produrre un risultato molto simile.
Gli ingredienti con le proporzioni
classiche sono: 1 parte di burro chiarificato, 2 parti di semolino, 2 parti di zucchero,
4 parti di acqua, mandorle ed uvetta a piacimento.
In realtà queste proporzioni sono
regolate secondo i gusti indiani, in particolare l’abbondante utilizzo di ghee
e zucchero che potrebbe essere decisamente inferiore.
Fuorviante è anche la quantità d’acqua
che deve essere maggiore, altrimenti l’halva risulta troppo asciutto ed il
risultato, piuttosto che la polenta, ricorda una torta sbriciolata un po’
grumosa.
Le dosi della nostra piccola porzione
personale, a seguito di ripetuti esperimenti, sono di: 1 cucchiaio e mezzo di
ghee, 5 cucchiai di semola, 1 cucchiaio e mezzo di zucchero, un bicchiere d’acqua,
7-8 chicchi d’uvetta, 3-4 mandorle; per due-tre persone basta raddoppiare le
dosi.
La semplice preparazione prevede, come
prima cosa, di sciogliere lo zucchero nell’acqua facendola bollire per un paio
di minuti, quindi mettere da parte.
Sciogliere il burro chiarificato in una
padella antiaderente non molto grande e con i bordi alti (assumendo che si sia sprovvisti
di una karahi o di una wok), aggiungere la semola ed abbrustolire a fuoco medio
finché la semola raggiunge un deciso colore marroncino, in circa una decina di
minuti, in base al rapporto ghee-semola ed alla potenza del fuoco.
A quel punto si abbassa leggermente la
fiamma e si inizia a versare poco per volta l’acqua zuccherata, rimescolando
per amalgamare bene ed evitare si rapprenda; nel qual caso basta aggiungere
altra acqua.
Dopo circa 5 minuti di “sbollichiamento”,
durante i quali si può aggiungere l’uvetta per ammorbidirla e farle sprigionare
un minimo di aroma, l’halva raggiunge una consistenza simile al semolino, si
spegne, si aggiungono le scaglie di mandorle dando un’ulteriore rimescolata e
si lascia raffreddare per almeno cinque minuti, anche per farlo asciugare
ulteriormente (la semola anche a fuoco spento tende a continuare la sua
funzione assorbente).
Leggermente calda l’halva è
particolarmente saporita ma si può consumare anche fredda, fino a circa una
dozzina d’ore dopo la preparazione.
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