lunedì 22 febbraio 2016

L'halva

L’halva, scritto e pronunciato in vari modi, alva, halwa, helwa, è un dolce tipico della cultura araba, ebraica e mussulmana, diffuso in numerose varianti dal nord Africa fino al subcontinente indiano, passando anche attraverso alcuni stati dell’est europeo.
A questo va aggiunta la diffusione nelle americhe, del nord grazie alla folta presenza di indiani ed ebrei, del sud, in particolar modo Argentina e Brasile, per la storica ed abbondante comunità di immigrati siro-libanesi.
Oltre a quello culturale, un altro importante motivo del globale successo dell’halva è la semplicità degli ingredienti e delle preparazioni, tra le quali due sono quelle più facilmente distinguibili: una a base di farina, in genere semola, ed una a base di burro di noci, come ad esempio il comune burro di arachidi.
In India è tipica la specialità a base di semola, alla quale si fa riferimento in questo articolo.
La preparazione più semplice, e quindi più popolare, prevede l’utilizzo di pochi comunissimi ingredienti: semola, ghee (burro chiarificato), zucchero, acqua, scaglie di mandorle e uvetta.
Fatto sciogliere lo zucchero nell’acqua, si frigge-abbrustolisce la semola nel ghee per una decina di minuti, finché assume una decisa colorazione marroncina, si aggiunge a poco a poco l’acqua zuccherata, facendo sbollicchiare per un’altra decina di minuti ed una volta raffreddato leggermente, l’halva è pronto per essere guarnito con mandorle ed uvetta, e servito.
La consistenza può variare ma di solito ricorda quella della polenta, chiaramente più leggera.
Il sapore, nella sua semplicità, è piuttosto gradevole, grazie al piacevole aroma del semolino abbrustolito ed addolcito dall’abbondante presenza di zucchero e uvetta.
In alcune ricette viene anche aggiunto un poco di sale, che, contrastando lo zucchero, tende ad aumentare la sensazione di dolcezza (permettendo quindi di usare meno zucchero).
Questa semplice preparazione rende il suji ka halva, l’halva di semola, un dolce molto pratico da preparare sia a livello domestico, ad esempio per offrire qualcosa di veloce e gradito ad un ospite inatteso, ma anche per cerimonie religiose, grazie alla purezza degli ingredienti apprezzati da tutte le divinità, e viene spesso offerto nei templi come prasad, appunto offerta, che viene presentata alla divinità, da Essa santificata e quindi consumata dai fedeli.
Tra le numerose varianti, molto diffusa è l’halva a base di differenti farine, già ampiamente utilizzate in tutta la cucina del subcontinente, quali ad esempio farina di ceci e di lenticchie.
Queste tipologie hanno gusti e consistenza decisamente diverse dall’halva di semola, e tendono ad assomigliare ad altri dolci tipici, a causa della presenza di khoa (di cui vedremo poco più avanti), infatti vengono confezionate in molti negozi con forme classiche da “pasticcino” indiano, rotonde, quadrate, a rombo, etc.
Un’altra variante estremamente comune ed interessante è il gajar ka halva, a base di carote (gajar), che vengono tagliate finemente per farne una sorta di pasta.
In questo caso, come il suji ka halva, la consistenza più friabile e leggera di quello a base di farina di ceci o di lentcchie, non permette di confezionarne pasticcini, ma viene consumato in ciotole con il cucchiaio o con le mani, strappandone dei piccoli bocconi.
Nelle preparazioni a base di altre farine e di carote (ma esistono anche varianti con zucche e tuberi), per addolcire maggiormente questi ingredienti di per sé poco dolci, viene utilizzata la khoa, un prodotto tipico della cucina indo-pakistana, che consiste in una pasta giallina friabile preparata facendo seccare il latte in grandi karahi, le tipiche pentole indiane simili alle più note wok.
Per i palati poco avvezzi a questa concentrata preparazione latticina, la khoa risulta essere piuttosto pesante e, se di non ottima qualità, tende a produrre un aroma ed un gusto simili al formaggio, decisamente poco adatto da abbinare ai dolci.
Certo con un uso appropriato di buona khoa in una ricetta casalinga, il gajar ki halva è sicuramente molto gustoso, ma l’abbondante utilizzo di khoa di scarsa qualità nelle poco accurate ricette dei negozi di dolci, lo rendono poco appetibile e molto indigesto.

Dando un’occhiata alle ricette proposte su internet, ma soprattutto dopo aver raccolto le semplici istruzioni dalla nostra professoressa privata di hindi, fonte inesauribile di notizie d’ogni sorta sull’India, abbiamo avuto modo di fare alcuni esperimenti che ben presto, già al terzo tentativo, ci hanno permesso di produrre qualcosa di non proprio delizioso ma ampiamente commestibile.
Di solito le ricette indiane hanno il problema della non facile reperibilità degli ingredienti al di fuori dell’India, seppur per l’halva questo riguarda un’unico ingrediente, cioè il ghee, burro chiarificato, in India indispensabile per numerose ricette e quindi presente in ogni cucina un minimo organizzata, mentre in Italia è poco comune e piuttosto costoso.
La sostituzione del burro chiarificato con burro normale potrebbe comunque produrre un risultato molto simile.
Gli ingredienti con le proporzioni classiche sono: 1 parte di burro chiarificato, 2 parti di semolino, 2 parti di zucchero, 4 parti di acqua, mandorle ed uvetta a piacimento.
In realtà queste proporzioni sono regolate secondo i gusti indiani, in particolare l’abbondante utilizzo di ghee e zucchero che potrebbe essere decisamente inferiore.
Fuorviante è anche la quantità d’acqua che deve essere maggiore, altrimenti l’halva risulta troppo asciutto ed il risultato, piuttosto che la polenta, ricorda una torta sbriciolata un po’ grumosa.
Le dosi della nostra piccola porzione personale, a seguito di ripetuti esperimenti, sono di: 1 cucchiaio e mezzo di ghee, 5 cucchiai di semola, 1 cucchiaio e mezzo di zucchero, un bicchiere d’acqua, 7-8 chicchi d’uvetta, 3-4 mandorle; per due-tre persone basta raddoppiare le dosi.
La semplice preparazione prevede, come prima cosa, di sciogliere lo zucchero nell’acqua facendola bollire per un paio di minuti, quindi mettere da parte.
Sciogliere il burro chiarificato in una padella antiaderente non molto grande e con i bordi alti (assumendo che si sia sprovvisti di una karahi o di una wok), aggiungere la semola ed abbrustolire a fuoco medio finché la semola raggiunge un deciso colore marroncino, in circa una decina di minuti, in base al rapporto ghee-semola ed alla potenza del fuoco.
A quel punto si abbassa leggermente la fiamma e si inizia a versare poco per volta l’acqua zuccherata, rimescolando per amalgamare bene ed evitare si rapprenda; nel qual caso basta aggiungere altra acqua.
Dopo circa 5 minuti di “sbollichiamento”, durante i quali si può aggiungere l’uvetta per ammorbidirla e farle sprigionare un minimo di aroma, l’halva raggiunge una consistenza simile al semolino, si spegne, si aggiungono le scaglie di mandorle dando un’ulteriore rimescolata e si lascia raffreddare per almeno cinque minuti, anche per farlo asciugare ulteriormente (la semola anche a fuoco spento tende a continuare la sua funzione assorbente).
Leggermente calda l’halva è particolarmente saporita ma si può consumare anche fredda, fino a circa una dozzina d’ore dopo la preparazione.

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