Sati è il nome della prima moglie di
Shiva, morta suicida per uno sgarbo subito dal padre Daksha.
Egli infatti decise di organizzare un
grande sacrificio, al quale invitò tutte le divinità, tranne la figlia e suo
marito Shiva, a causa del fatto che disapprovava il comportamento ascetico del
genero.
Sati, molto irritata da tale affronto,
decise di recarsi lo stesso ad assistere al sacrificio, in quanto, essendo
figlia dell’officiante, riteneva non avesse bisogno di alcun invito.
Shiva invece, ben contento di poter
continuare a meditare sul Monte Kailash, decise che se quello era il volere del
suocero, l’avrebbe assecondato volentieri e lasciò che Sati andasse da sola.
Una volta giunta nel luogo stabilito
per il sacrificio, Sati ebbe un’accesa discussione col padre, il quale insultò
a tal punto Shiva che lei, in un accesso di rabbia, distrusse i preparativi del
sacrificio e si suicidò buttandosi nel fuoco sacrificale che era stato appena acceso.
Quando Shiva venne a sapere
del’accaduto si recò inferocito sul luogo del misfatto, accompagnato da una
schiera di demoni, uccise il suocero, completò la distruzione del sacrificio e,
preso sulle spalle il corpo della sua amata, iniziò a volare tra i cieli
distruggendo tutto quello che incontrava.
Gli dei, impossibilitati a fermare la
sua furia, chiesero allora aiuto a Vishnu (che rappresentando la Conservazione
è l’unico che può opporsi alla Distruzione-Shiva), il quale lanciò il suo disco
divino sul corpo di Sati, che iniziò a rompersi ed i cui pezzi caddero sulla
terra.
Infine Shiva fu definitivamente
placato quando gli fu assicurato che ella sarebbe ritornata a lui, ed infatti la
nota Parvati non è altro che un’incarnazione di Sati.
Da questo interessante episodio
mitologico si possono trarre alcuni spunti sia religiosi-spirituali, che
socio-culturali.
Ad esempio, lo smembramento del corpo
di Sati ha dato vita all’importante tradizione induista degli shakti peetha, 54 luoghi sacri dove si
presume siano caduti i pezzi della dea e che si trovano sparsi in tutto il
subcontinente indiano, compresi Pakistan, Nepal e Bangladesh.
E seppur la tradizione sia molto
antica, ancora oggi la maggior parte di questi templi sono importantissimi
luoghi di culto per le divinità femminili, quali Durga e Kali.
Dal punto di vista socio-culturale, la
parola sati viene utilizzata per
descrivere la tradizione delle donne indiane, specialmente di casta alta, di
immolarsi sulla pira del marito, come segno di devozione totale al coniuge.
Seppur in realtà il riferimento alla
storia mitologica sia poco preciso (cambia il motivo del suicidio di Sati e il
fatto che Shiva sia vivo) e la pratica non era universalmente accettata, fu
abbastanza diffusa e fu solo grazie agli inglesi, nella seconda metà dell’800,
che fu dichiarata illegale.
In molti casi, infatti, pare si
trattasse di solito di atti volontari, ma non erano pochi i casi in cui la
moglie vi era costretta dalle circostanze, cioè trovarsi completamente sola, abbandonata
e magari osteggiata, e talvolta era addirittura obbligata con la forza.
Anche dopo l’indipendenza dell’India
dall’Inghilterra le leggi che proibiscono tale pratica sono diventate sempre
più severe visto che, purtroppo, ancora oggi, talvolta capitano alcuni “casi di
sati”.
Se le autorità vengono avvertite in
tempo, di solito i poliziotti intervengono ed arrestano tutti i presenti (è considerato
reato anche solo assistere a tali infausti eventi), e soprattutto distruggono
santuari o altari che in genere vengono eretti sul luogo del sacrificio, per
evitare che si crei un culto che sarebbe poi difficile da interrompere.
Le donne che commettono il sati
vengono infatti venerate alle stregua di divinità, per aver avuto il coraggio e
la devozione per sacrificarsi per il proprio marito, tenendo anche presente
che, secondo l’induismo, il sacrificio della moglie garantisce all’uomo una
rinascita “superiore”.
Ancora oggi sono molti i templi,
soprattutto nelle zone rurali del Rajasthan e del Bengala, dedicati a donne che
hanno commesso il sati, costruiti sul luogo del sacrificio e dove talvolta
vengono rappresentate come una donna seduta a gambe incrociate sopra al fuoco
di una pira.
Nella città di Benares, da sempre
luogo propizio per morire e per essere cremati, si possono notare invece
numerosissimi altarini sparsi lungo i ghat, dove viene rappresentata una
coppia, uomo-donna, in piedi e indicano il punto esatto in cui è stato commesso
un sati.
Presso i due campi crematori di Manikarnika
Ghat e Harischandra Ghat, questi altari sono particolarmente numerosi, ma si
possono trovare lungo quasi tutti i 7 chilometri di lungofiume, da Assi Ghat a
sud fino al Raj Ghat a nord.
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