Un giovane poeta,
convinto delle proprie capacità, decise di recarsi dal Re del suo paese, per
essere ammesso come poeta di corte.
Oggigiorno nessuno
dà molta importanza alla poesia, ma tempo addietro i sovrani potevano essere
molto sofisticati e rendere possibile una carriera con la poesia.
Quando il giovane
arrivò a corte, scoprì amaramente che non avrebbe mai potuto attirare
l’attenzione del Re: egli infatti era costantemente circondato da grandi
letterati che non gradivano alcuna competizione e tenevano il Re sempre
impegnato.
Dopo alcuni giorni
di vani tentativi, il giovane poeta fu molto frustrato e scrisse un verso in
sanscrito sulla porta della camera del Re “La porta del Re è come una vagina,
ed i pandit (grandi letterati) sono un pene. Vanno dentro e fuori
continuamente, provando grande gioia, mentre io, come i testicoli, devo
rimanere fuori, eternamente schiacciato tra i due”.
Questo oltretutto
implicava che se la porta del Re era una vagina, il Re veniva “fottuto” dai
pandit, e che loro chiaramente erano dei “cazzoni”.
Il giorno
successivo quando il Re lesse la scritta fu colpito dalla complessità della
metafora ed una volta scopertone l’autore lo congratulò, accettandolo alla sua
corte come poeta.
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