L’India e il Nepal sono paesi notoriamente
sovrappopolati da esseri umani, ma anche letteralmente invasi da miriadi di
cani randagi che vivono pressoché ovunque.
Questo è dovuto sia al fatto che
entrambi i paesi hanno problemi ben più grandi da risolvere, ma anche perché in
realtà il fenomeno non viene visto come un vero e proprio problema.
Tra i principi più importanti della
religione indù (praticata da circa l’80% degli indiani e l’82% dei nepalesi),
vi sono infatti un’apprezzata nonviolenza verso tutte le creature viventi,
unita a una notevole capacità di accettazione di quello che la vita offre,
grazie ai quali gli animali, e i numerosissimi cani in particolar modo, possono
vivere più o meno indisturbati.
Dottrinalmente, secondo gli shivaiti,
il Dio Shiva si presenta ai suoi devoti almeno una volta nella vita, ma non si
sa sotto che forma, quindi, nel dubbio, ciò comporta l’essere sempre buoni e
gentili verso ogni essere vivente; mentre, secondo i vishnuiti, Vishnu stesso
risiede all’interno di ogni creatura, per cui risulta essere molto importante,
e quasi scontato, l’amore verso ciascuna di esse.
È quindi pratica piuttosto comune
quella di offrire gli avanzi dei pasti agli animali, oppure i resti delle
offerte dei templi, e questo aiuta indubbiamente il proliferare di cani,
mucche, capre, scimmie, gatti, topi, senza parlare di uccelli e insetti.
Gli animali sono quindi anche molto
ben rappresentati nella cosmogonia indù, seppur il cane in sé, rispetto ad altre
bestie più fortunate, non ha particolari significati religiosi, ma viene
tollerato per il puro fatto di essere una creatura di Dio.
La mucca, ad esempio, è nota esssere
l’animale sacro per eccellenza, grazie alle sue numerose qualità che ne fanno,
secondo l’induismo, l’epitome della madre perfetta; le scimmie invece,
nonostante creino forse più problemi dei cani, sono rappresentate dall’amatissima
divinità dalle sembianze scimmiesche Hanuman; oppure l’elefante, la cui testa
adorna il corpo di Ganesha, il figlio di Shiva.
Il cane invece, può vantare di essere
talvolta l’accompagnatore di alcune divinità “minori”, almeno dal punto di
vista della diffusione, come ad esempio Dattatreya, considerato il Maestro di
Shiva, il quale pare sia sempre accompagnato da un cane, oppure Kal Bhairo, una
rappresentazione terrifica di Shiva, il quale usa un cane come propria
cavalcatura.
Detto questo, non si può negare come
la massiccia presenza di animali, almeno nelle città, crei numerose situazioni
di conflitto con l’essere umano, il quale seppur tollerante, è anche vittima dei
vari disagi che questo comporta.
Primo di tutto i circa 20.000 morti
annuali per rabbia, che seppur diffusa anche da scimmie e pipistrelli, vede nei
cani i maggiori responsabili.
Senza arrivare a questi casi estremi,
bisogna tenere presente che gli adorabili cani, che di giorno vivono
tranquillamente acciambellati ad ogni angolo aspettando che cada un po’ di cibo
da qualche parte, di notte si trasformano in più o meno feroci creature ben
poco amabili ma alquanto temibili.
È proprio durante la calma notturna
infatti che possono dominare le strade e affermare la loro territorialità, sia nei
confronti degli altri cani, ma anche degli esseri umani, tanto che molte zone
residenziali arrivano ad essere decisamente pericolose per chi non vi abita
stabilmente.
Talvolta la gravità della situazione
può essere tale che gli attacchi si riversano anche contro gli abitanti del
posto, per cui diventa difficile tollerare il problema; ma forse ancora più
difficile risolverlo...
Caso emblematico è accaduto circa 10-15
anni fa, nella piccola e graziosa isola di Diu, appena al largo delle coste del
Gujarat.
Essendo un’isola, i cani avevano
sviluppato una fortissima territorialità, accompagnata anche da una scarsa
differenziazione genetica, che li porta ad essere piuttosto deboli sia da un
punto di vista fisico che mentale.
I casi di attacchi, soprattutto verso
donne e bambini, arrivarono quindi ad allarmare la popolazione e fu deciso di
porre fine al problema sterminando la comunque non numerosissima colonia di
cani.
Questa soluzione venne favorita sia
dalla limitazione del territorio, che essendo un’isola è ben definito, ma anche
dal fatto che Diu è un ex-territorio portoghese, con un forte retaggio
cristiano, nonché un buon numero di mussulmani, religioni tradizionalmente meno
tolleranti nei confronti degli animali.
Il sistema adottato però, fu talmente
brutale e barbaro che perfino cristiani e mussulmani protestarono: furono
infatti incaricate 3-4 persone, munite di fucile, di setacciare l’isola e semplicemente
abbattere più cani possibili.
La tradizione locale vuole che
l’operazione fu abbandonata dopo pochi giorni e addirittura coloro i quali
stavano eseguendo il lavoro, morirono tutti, per varie cause, nei mesi
successivi, come puniti da Dio per i loro atroci peccati.
Così la situazione cambiò ben poco e
successivamente fu usata una tecnica già diffusa per il problema dei maiali,
anche loro numerosissimi in certe zone dell’India, che a Diu ogni tanto vengono
caricati su grandi camion e portati nella giungla dove vivono affamati predatori,
quali leopardi, tigri, e particolare del Gujarat, anche i leoni.
Di certo pure questo non è un sistema
perfetto, ma almeno migliore che fare delle carneficine come è successo in
altri paesi del mondo, quali la Cina e la Romania, dove gli ironicamente cinici
comunisti (cinico deriva dal greco kunos, cane), non si sono fatti
problemi a sterminarli nelle maniere più atroci.
Parlare invece di un serio programma
di sterilizzazione sarebbe invece deleterio, data la semi-impossibilità
pratica, e i problemi ben più grandi da risolvere per gli esseri umani.
Ecco allora che, forse, la tolleranza
è la soluzione migliore, sperando che la situazione chiaramente non degeneri.
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