Uno degli aspetti più stressanti, e
forse addirittura traumatici, per chi visita l’India le prime volte è il
traffico, o meglio, il caos totale che regna sovrano durante il giorno nelle
strade delle grandi città indiane.
Se fino a circa una trentina di anni
fa esse erano frequentate prevalentemente da pedoni, biciclette, ciclorisciò,
carri e carretti vari, e solo qualche raro veicolo a motore, oggigiorno si sta
verificando un vertiginoso e pericoloso aumento di moto, macchine, jeep, autorisciò,
bus e camion che competono furiosamente e rumorosamente, con i “vecchi” utenti
delle strade, ancora presenti e numerosi.
Il risultato è una più o meno totale
anarchia che sebbene mostri le infinite capacità di adattamento dell’essere
umano, allo stesso tempo è un chiaro esempio di spreco di tempo, risorse e
mezzi.
I motivi principali di questa
deprecabile situazione sono solamente due ma purtroppo, almeno per il momento,
entrambi irrisolvibili.
Il primo chiaramente è il cronico
sovrappopolamento indiano e l’esagerato numero di utenti delle strade; senza
contare che quasi nessuna delle città indiane è stata pianificata, ma sono
esplose demograficamente negli ultimi 50 anni.
Vista l’attuale astronomica velocità
di crescita della popolazione delle grandi città indiane, c’è da sospettare che,
comunque, anche un’eventuale pianificazione avrebbe raggiunto risultati solo
parziali: secondo stime accurate dell’ultimo censimento indiano del 2011, la
città di Delhi, ad esempio, è aumentata di ben 5 milioni di abitanti negli
ultimi 10 anni, con un’allarmante crescita media annua di circa 500.000 persone!
Essendo il problema del traffico sotto
agli occhi di tutti, nonché in continua crescita, bisogna citare gli sforzi che
vengono fatti, sia localmente che da parte del governo centrale, sebbene i
risultati siano ancora scarsi.
Il secondo motivo, causa del traffico
senza senso delle città indiane, e forse ancora più irrisolvibile del
sovrappopolamento, è l’egoismo umano, o la mancanza di empatia, che in India
talvolta raggiunge i massimi livelli.
Senza neanche immaginare di
addentrarci in un superfluo confronto culturale, non possiamo però fare a meno
di notare come nelle religioni asiatiche manchi completamente il concetto di
rispetto del prossimo, una delle (poche?) caratteristiche positive del
cristianesimo.
Chiaramente questo non vuol dire che il
prossimo venga quindi odiato e respinto: tipica delle religioni asiatiche è
infatti la sacralità dell’ospite, ben esemplificata dalla nota espressione indù
“Atithi devo bhava” (L’ospite è Dio), che abbiamo modo di provare spesso personalmente
nella vita di tutti i giorni.
Ma, secondo la mentalità indiana,
finché, per qualche motivo “karmico”, non si entra in contatto con una persona
sconosciuta, “gli altri” non esistono nemmeno.
Questo concetto, allargato alle strade
indiane, viene esacerbato al punto che non vige nessuna regola e l’unica
animalesca legge è quella della giungla: la legge del più forte.
Vivendo nella città indiana più
religiosa e più egoista dell’India, Benares, portare degli esempi di quanto
detto è fin troppo facile, basti citare la “simpatica” abitudine di tutti i
guidatori di mezzi a motore di suonare il clacson ed accelerare in presenza di
pedoni, per chiarire, inequivocabilmente, di chi sia la precedenza...
L’uso sfrenato del clacson è un’altra
caratteristica a dir poco snervante del traffico indiano, anche se, perfino in molte
situazioni solo apparentemente innocue, è dovuto all’elevato numero di
imprevisti che possono capitare sulle strade: da pedoni abituati a camminare
nei campi, che quindi attraversano tranquillamente senza guardare, a mucche
abituate a farsi gli affari loro, che quindi continuano anche quando si trovano
sdraiate in mezzo alla strada.
I rumorosi e inquinanti camion hanno
addirittura una scritta dietro, ad esempio “Please blow horn”, o “Awaz do” (Per
piacere suonare il clacson e Fare rumore, rispettivamente in inglese e hindi),
in quanto viene considerata una norma di sicurezza in caso di sorpasso; e,
amaramente, dobbiamo confermare che in effetti sia molto utile.
È chiaro come, date queste premesse,
le strade indiane sono le più pericolose al ondo, soprattutto, come abbiamo visto, per i
pedoni, ma anche la sicurezza degli altri utenti è minima.
Col passare del tempo alcuni piccoli
miglioramenti si notano, soprattutto nelle grandi città come Delhi, e l’uso di
cinture e caschi, tanto per citare delle elementari norme di sicurezza della
strada, inizia ad essere obbligatorio; seppur non manchino delle complicazioni
tipiche indiane.
Per esempio, l’uso del casco, perfino
nella capitale, è stato rimandato a lungo per la resistenza dei Sikh, i quali
portano spesso un voluminoso turbante che preferibilmente eviterebbero di
togliere, e avanzavano la quasi puerile teoria che il turbante in se’ potesse
offrire una qualche protezione; teoria, per fortuna, discreditata attraverso
dei semplici test.
Nella città di Benares invece, la
polizia stessa è contraria all’applicazione di tale legge, adducendo il troppo
caldo, scusa accettabile viste le temperature spesso torride, ma aggiungendo
come giustificazione, decisamente contestabile, il fatto che comunque, a causa
del traffico e della conformazione delle strade, la velocità massima media è di
appena 19 km orari, tali da non giustificare l’uso obbligatorio del casco...
Questa perversa mentalità sembra
essere anche una delle cause stesse del traffico, visto che in fondo il
ragionamento sembra logico: più traffico, meno velocità, quindi meno incidenti
gravi; e anche meno criminalità, dato che riuscire a scappare nelle strade indiane
succede solo nei film di Bollywood.
Questa supposizione è ulteriormente
favorita anche da altri due fattori tipici locali: la massicia presenza di dossi
per rallentare la velocità dei mezzi, che si trovano pressoché ovunque, prima e
dopo scuole, caserme, banche ed altri edifici pubblici, nonché le notoriamente
disastrose condizioni del manto stradale, che fungono anche loro come naturali
dissuasori di velocità.
Soluzioni permanenti al problema del
traffico indiano al momento all’orizzonte non sembrano essercene (a parte la
miracolosa metropolitana di Delhi), seppur sia piacevole notare che il costante
aumento demografico è accompagnato anche da un costante aumento
dell’alfabetizzazione, e la susseguente diminuzione dell’ignoranza potrebbe col
tempo favorire qualche miglioria.
Ad esempio, nella città di Kolkata
(Calcutta), che si distingue sia per la densità, il traffico e la povertà, ma
anche per la cultura, civiltà e dignità dei suoi abitanti, l’uso del clacson,
almeno secondo i parametri indiani, è decisamente limitato.
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