Il khichri
è un risotto tipico del subcontinente indiano, molto diffuso grazie ad alcune caratteristiche
peculiari in particolare la semplicità e la praticità.
Nonostante esistano numerose varianti,
date dall’estesa diffusione geografica, gli ingredienti sono essenzialmente 5:
acqua, riso, lenticchie, sale e polvere di curcuma, tutti estremamente
economici e facilmente reperibili nei mercati locali.
Data l’assenza di spezie, almeno in
questa versione base, il khichri viene quindi considerato un piatto ideale per varie
categorie di persone con limiti dietetici.
Ad esempio il khichri è molto
apprezzato da asceti, santoni e persone religiose in genere, tanto da essere la
ricetta più preparata per i periodi di preghiera e per interrompere i digiuni,
nonché per i bandhara, cioè la
distribuzione gratuita di cibo che avviene spesso in templi e ashram per
celebrare particolari festività. Senza dimenticare che il khichri pare essere
il cibo preferito del dio Shiva.
Al di fuori dell’ambito religioso,
esso è molto diffuso anche negli ospedali e tra i malati in genere, in quanto
risulta essere facilmente digeribile, sicuramente più di qualunque altro cibo
locale che in questa parte dell’Asia tende ad essere sempre molto condito e speziato,
quindi poco adatto ai degenti.
La praticità del khichri è data dal
fatto che per prepararlo gli ingredienti vanno messi dentro ad una pentola a
pressione e cucinati insieme, richiedendo quindi un numero decisamente limitato
di utensili e combustibile.
Queste caratteristiche, di fatto,
fanno del khichri una delle ricette indiane maggiormente cucinata ed apprezzata
anche da parte degli stranieri che vivono a lungo in India.
Essendo diffuso dal Pakistan al
Banlgadesh e dal Nepal allo Sri Lanka, esistono numerosissime varianti
regionali al khichri tradizionale, tra cui addirittura una versione dello stato
indiano del Maharashtra che prevede l’utilizzo di gamberoni.
Le differenti versioni regionali sono
in realtà tentativi di rendere il piatto leggermente più gustoso, visto che gli
ingredienti base sono piuttosto poveri di sapore, seppur in questo modo vengano meno le qualità della
“purezza” e dell’alta digeribilità: ad esempio, la versione con i gamberi
chiaramente non è adatta a religiosi, vegetariani e degenti.
Tra gli ingredienti tollerati da tutti,
uno dei più apprezzati è sicuramente l’assafetida, una polvere estratta dalla
resina delle radici di una pianta del genere ferula, di origine persiana.
Il suo sapore molto pungente viene
utilizzato nella cucina indiana come surrogato all’aglio ed alla cipolla,
considerati spesso cibi non-puri per pratiche religiose (al contrario dell’assafetida),
ed avendo un aroma estremamente potente, bastano pochi granellini per dare al
khichri un po’ di “carattere”.
Ingredienti decisamente più
consistenti sono invece le verdure, partendo dalle onnipresenti patate, cipolle
e pomodori ma, volendo, si possono aggiungere anche melanzane o rape, senza
dimenticare, specialmente in inverno, qualche pisello.
In questo modo il piatto assumerà
qualche gusto in più, ma per dare una decisa sterzata ai sapori, la soluzione
migliore è praparare un soffritto da aggiungere nella pentola a pressione una
volta che il khichri è pronto.
Preferibilmente l’olio da utilizzare è
quello di semi di senape, molto forte e nutriente, per cui un paio di cucchiai
possono essere già sufficienti.
Tra le spezie, imprescindibili sono
alcuni semi di cumino, a cui si possono aggiungere qualche pezzetto d’aglio, di
zenzero e un po’ di peperoncino.
Venendo alla preparazione, come detto,
basta mettere riso, lenticchie, sale, curcuma, assafetida ed eventuali verdure dentro
ad una pentola a pressione, con una quantità d’acqua che copra di qualche
centimetro (3-4) gli ingredienti.
Le dimensioni dei tagli della verdura dipendono
dalla consistenza e dal loro supposto tempo di cottura, quindi,ad esempio, le
patate vanno tagliate in pezzi più piccoli rispetto alle melanzane, mentre
cipolle e pomodori basta dividerli in due o in quattro, visto che verranno in
ogni caso quasi sciolti durante la cottura.
Per una porzione da 1 persona, con
60-70 grammi di riso e 60-70 di lenticchie, bastano circa 25 minuti: minore
sarà il tempo di cottura maggiore sarà la consistenza, mentre lasciato più a
lungo si trasforma in una specie di puré.
Anche la quantità d’acqua incide molto
sulla consistenza, troppa rischia di ridurre il tutto ad una brodaglia, mentre
poca acqua potrebbe produrre come risultato un cemento, probabilmente utile
nell’edilizia, ma difficilmente digeribile da uno stomaco umano; senza contare
che si rischia pure di bruciare il fondo della pentola.
Chiaramente è possibile cucinare il
khichri anche in una pentola normale, seppur in questo caso i tempi di cotttura
si allungano decisamente.
Molto popolare tra i pellegrini delle
zone rurali è la preparazione del khichri all’interno di giare di terracotta “usa
e getta” che donano anche alla pietanza un ulteriore caratteristico sapore.
Il soffritto, invece, è molto comodo
prepararlo dentro un mestolo da mettere direttamente sopra il fuoco,
soprattutto nel caso si tratti solo di semi di cumino.
Se si intendono aggiungere anche aglio
e zenzero, e magari peperoncino fresco, allora bisognerà utilizzare un
tegamino.
In ogni caso, quando i semi di cumino iniziano
a scoppiettare e a coprire l’odore “gassoso” dell’olio di senape, si versa il
soffritto dentro alla pentola a pressione con il khichri pronto, stando attenti
alla nuvola che si sprigiona dalla reazione dell’olio bollente nell’acqua del
khichri.
Una volta schivata la zaffata di olio
e spezie bruciate, si remescola bene il tutto e il khichri è pronto.
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